Chi è uno sportivo come noi e questa mattina si è trovato a leggere il Corriere della Sera, si sarà soffermato sull'articolo a pagina 22. Si basa su uno studio fatto da 3 ricercatori italiani (Matricardi, Nisini, Dal Negro), intitolato "The First, Comprehensive Immunological Model of COVID-19: Implications for Prevention, Diagnosis, and Public Health Measures" e riportato venerdì 24 aprile dal sito dell'Istituto Superiore di Sanità.
In sostanza dicono che nell'esito dell'infezione da COVID19 sarebbe determinante cosa succede nelle prime 2 settimane dal contagio, ma quello che più interessa a noi è il fatto che dallo studio risulterebbero tre categorie che sarebbero più a rischio delle altre. Questo può dipendere dall'esposizione virale (medici e infermieri che senza protezioni adeguate hanno avuto contatto con malati), dalla debolezza immunitaria (anziani) o da uno sforzo fisico intenso nei giorni dell'incubazione.
É proprio quest'ultimo aspetto che ci colpisce visto che di fatto riguarda gli sportivi, come il famoso Paziente 1 di Codogno, un 38enne maratoneta che giocava anche a calcio. Secondo lo studio, chi compie un esercizio fisico intenso e/o prolungato, con elevatissimi flussi e volumi respiratori, proprio nei giorni di incubazione immediatamente precedenti l'esordio della malattia, faciliterebbe la penetrazione diretta del virus nelle vie aeree inferiori e negli alveoli, riducendo fortemente l'impatto sulle mucose delle vie aeree, coperte da anticorpi neutralizzanti.
Se il COVID-2 supera il blocco della immunità innata e si diffonde dalle vie aeree superiori agli alveoli già nelle prime fasi dell'infezione, allora può replicarsi senza resistenza locale, causando polmonite e rilasciando elevate quantità di antigeni.
Questo studio dovrebbe far alzare il livello di attenzione a noi sportivi, soprattutto ora che ci avviciniamo alla cosiddetta Fase 2, dove diventerà importante preservare noi stessi ma anche chi ci sta vicino, magari utilizzando delle maschere specifiche per lo sport (non mentre si pedala).
