Il lato oscuro della MTB di alto livello. I casi Rissveds e Bresset visti da una psicologa dello sport.

Insieme a Elisabetta Borgia, psicologa sportiva e mental coach, entriamo dentro la testa delle giovani atlete che prima vincono tutto e poi vanno in crash psicologico.

Vincere l'Olimpiade è il sogno di qualunque sportivo, ma a volte gli effetti di vittorie di questo calibro possono portare ad un'importante perdita di equilibrio nella mente dell'atleta.

 

Abbiamo ben nitide davanti a noi le immagini degli strepitosi successi di Julie Bresset e di Jenny Rissveds alle Olimpiadi di Londra e Rio de Janeiro e allo stesso tempo anche le ripercussioni che hanno avuto sulla loro carriera e, più in generale, sulla loro vita. Non sono certamente dei casi sporadici, troviamo crisi post olimpiche in tantissimi sport...qui di seguito ad esempio ho riportato le parole di Allison Schmitt, campionessa olimpica di nuoto a Londra:

 

"Da allora (dall'Olimpiade vinta ) è andato tutto storto, ero depressa, non mi accettavo più, non ne capivo il motivo, cercavo aiuto ma non sapevo cosa potesse rendermi felice. Non è stato facile chiedere supporto agli altri".

 

 

Cercando di documentarmi più approfonditamente ho trovato uno studio fatto dall'università di Loughborough, l'ateneo britannico più famoso nel settore dello sport. Si parla di "Una pressione a vincere e un isolamento, nel disperato tentativo di arrivare primi, che possono scatenare la depressione quando le cose non vanno come si vorrebbe". La tipica delusione quando si investe tutto il possibile su qualcosa in cui si crede fermamente, ma non si riesce a raggiungere il risultato auspicato.

 

Jenny Rissveds

 

I ricercatori di Loughborough hanno studiato le autobiografie di dodici atleti famosi. Dai campioni di tennis Andre Agassi e Serena Williams, al ciclista Graeme Obree, dall'australiano asso del nuoto Ian Thorpe al calciatore Clarke Carlisle. Dalla pistard Victoria Pendleton al rugbista Jonny Wilkinson. La ricerca si intitola "Il lato oscuro dello sport di alto livello: uno studio autobiografico delle esperienze di depressione negli atleti di elite»; ed è stata pubblicata dalla rivista Frontiers in Psychology."

 

Il legame tra sport e depressione è forte e poco conosciuto anche perché la malattia mentale è ancora oggi motivo di vergogna.

 

Il dottor David Fletcher, docente di sport e psicologia della prestazione alla Loughborough University afferma che una personalità troppo autocritica, per esempio, oppure perfezionista mette a rischio di depressione, così come anche una paura eccessiva di fallire.

 

La costante tra le varie autobiografie è la spiegazione di quel passaggio nella vita in cui le pressioni personali e professionali sono diventate troppo forti e la depressione ha avuto il sopravvento. Il fallimento in gara è stato spesso un fattore scatenante, ma non solo, a volte la depressione è arrivata in seguito a memorabili vittorie.

 

 

Perché?

Le spiegazioni plausibili sono tante, ma sarebbe poco professionale addurle alle atlete citate senza avere elementi in mano. Ci può essere stato un calo di motivazione causato dal raggiungimento di un obiettivo massimo (impossibile alzare ulteriormente l'asticella); la perdita di concentrazione ( soprattutto per gli sport "minori" le Olimpiadi sono una vetrina ineguagliabile e così può esserci stato un aumento di richieste extra sportive, vedi ospitate, gala, cene, aumentate richieste di sponsors); aumento della pressione da parte dell'atleta stessa o anche dall'esterno (della serie "sono la campionessa olimpica e non posso fare brutta figura" - "tutti si aspettano moltissimo da me e non posso deluderli"); la necessità di un fisiologico stacco/ abbassamento di attivazione dopo un periodo di sovraccarico psico-fisico.

 

Queste, come già detto, sono solo ipotesi non verificate.

 

 

 

Mi sembrano necessarie a questo punto, però, alcune riflessioni personali a riguardo.

 

- L'atleta è vulnerabile, molto più di quanto possa sembrare.

 

- Gli sportivi vengono spesso dipinti e visti  come super eroi intoccabili e spesso le richieste/pressioni che vengono fatte nei loro confronti da team, sponsor, media e fans sono fortissime.

 

- Lo sport può essere crudele e far emergere queste vulnerabilità soprattutto quando l'atleta si mette in gioco e cerca di superare i suoi limiti.

 

Credo sia sempre più importante, vedendo il livello di esasperazione al quale stanno arrivando gli sport, la presenza di figure professionali che non supportino e 'allenino' solo gli aspetti fisici ma anche quelli psicologici.

 

 

 

 

 

Elisabetta Borgia: per 14 anni è stata biker e ciclocrossista, tre volte campionessa italiana, ha vestito più volte la maglia della nazionale, per poi dedicarsi alla psicologia sia quella sportiva sia quella clinica. ll modello a cui si ispira è il modello SFERA sviluppato dall'equipe del Dott. Vercelli del SUISM di Torino. Oltre alle normali sedute in studio alterna incontri sul campo di allenamento, segue le competizioni nelle quali sono impegnati gli atleti e mantiene il contatto con loro anche quando fisicamente ciò non sarebbe possibile. Madre di due figli e moglie di Marco Aurelio Fontana.

Per informazioni: http://elisabettaborgia.com/

 

 

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