62 KM DI EMOZIONI AL COSPETTO DEL SELLA

Racconto di una esordiente alla Süd Tirol Sellaronda Hero

Selva di Val Gardena (BZ): Già dal lunedì, l'aria si fa elettrizzante. I social network lasciano intendere, senza tante velature, che si stanno scaldando i motori, l'attenzione è puntata tutta sul weekend a venire. Mancano cinque giorni alla Sellaronda Hero. Ognuno, a suo modo, esprime il proprio stato d'animo: chi condivide foto, chi la newsletter del giorno. E poi aggiornamenti meteo, conti alla rovescia, battute e scherzi con gli amici che vi parteciperanno. Tutti non vedono l'ora di partire.

 

 

Anche io decido di condividere il mio stato d'animo, per me questo è l'anno d'esordio e ho ancora poca dimestichezza con quella che è la gestione della gara; l'ultima granfondo è stata parecchio deludente e temo di non aver raggiunto la forma fisica necessaria per affrontare una competizione di tale livello: sessantadue chilometri per un dislivello di tremilatrecento metri, un percorso che solo la Sellaronda Hero può permettersi di definire "corto", una definizione comprensibile solo in rapporto alla competizione maschile, che misura la bellezza di ottantaquattro chilometri, senza farsi mancare ovviamente il dislivello, quattromilatrecento metri.


A pensarci, temo di aver fatto il passo più lungo della gamba. Al tempo stesso però, sono curiosa di mettermi alla prova su un tracciato lungo e impegnativo, tanto da essere diventato famosissimo nel giro di poche edizioni; inoltre sono impaziente di vivere quell'atmosfera di grandezza che solo al Sellaronda sono in grado di creare.

 

La settimana scorre veloce ed è ora di partire. Domani è il grande giorno. Durante il lungo viaggio, che dalla Val Pellice mi porterà a Selva di Val Gardena, lo stato di agitazione mi rende apprensiva all'ennesima potenza: ho paura che succeda qualche imprevisto sfigato che possa compromettere la gara, tipo il torcicollo da finestrino abbassato, l'indigestione da pasta fredda al mattino presto o la rotellina del casco che mi resta in mano mentre lo regolo. Perfino decisioni di scarsa importanza, come scegliere se partire con gli occhiali o meno, assumono l'importanza di filosofiche scelte di vita. Il mio fidanzato dispensa consigli e sopporta quel milione di domande. Probabilmente comprende il mio stato d'animo.

 


Capisco che siamo quasi arrivati quando ci imbattiamo nel primo striscione "WELCOME HEROes" che trasforma le mie paranoie in entusiasmo; l'organizzazione accoglie nel migliore dei modi gli oltre quattromila potenziali eroi giunti a Selva per sfidare il massiccio del Sella.


Una volta sistemati in hotel esco in bici per il mio giro di allenamento, sulla strada che porta al Passo Gardena. Ho buone sensazioni, le gambe stanno bene, i battiti sono alti. Alzo gli occhi al Sella e penso a quello che sarà domani, ai quattro passi che dovrò salire e poi ridiscendere scoprendo il massiccio del Sella da una nuova angolazione, di salita in salita. Nonostante abbia timore di non farcela, sono eccitata alla sola idea di avere la possibilità di provare e sento che sarà, in ogni caso, un'esperienza fantastica, una gara stupenda in un ambiente favoloso.

 

Fu sera e fu mattina, il giorno che aspettavo da mesi è giunto. Oggi si corre la gara di mtb che definiscono "più dura al mondo".

 

 

Arrivo in griglia alle 6.45, leggermente in ritardo e tutta in disordine, pertanto non subisco la trepidante attesa pre-gara perchè spendo tutto il tempo che manca alla partenza per sistemarmi i capelli, il casco, le scarpe, le tasche. Quando sono pronta mancano solo due minuti al via.

 

Sono le 7.10. Si parte! Rimango spiazzata per un attimo dalla lenta partenza, così diversa da quelle viste fin'ora nelle granfondo, ma è più che comprensibile: la gara sarà lunga e le energie vanno dispese con cura. Da dietro gli striscioni, a pochi metri dal via, sento la voce di bimbetto che urla "Forza mamma!!!!" e penso a quanto bello dev'essere per quella mamma avere il sostegno del figlioletto.

 

Dopo meno di un kilometro siamo già in salita verso il Dantercepies; guardo l'altimetria fissata sul manubrio e ripenso al giorno prima, quando confidai le mie preoccupazioni per lo sviluppo di quella salita e mi rassicurarono dicendo: "no ma quella salita sei fresco e non la patisci". Avevano ragione, procedo con calma, controllando i battiti e cercando di trovare un ritmo che non mi affatica. Intanto conoscenti, amici e fidanzato, partiti successivamente, uno per uno mi superano e tutti mi dedicano una parola gentile di incoraggiamento.

 

 

La salita è ripida e il fondo sconnesso, si cerca sempre la traiettoria più pulita. Metto giù il piede una volta perdendo l'equilibrio e sono costretta a un pezzo a piedi, prima di rimontare in sella e conquistare la prima salita. In cima al Dantercepies una sorpresa bellissima: mi sento chiamare, alzo la testa e vedo uno per uno i volti delle mie amiche, sento le loro voci allegre rompere la mia rigida concentrazione e sorrido con loro, o almeno ci provo, non riesco a parlare molto, ma faccio in tempo a mettermi in posa per una foto. Nei minuti che seguono non vedo nemmeno la strada, che si avvia verso la prima discesa, sono felice di aver visto le mie amiche e ho nuovi stimoli per continuare. La prima parte di discesa, su strada larga, procedo senza particolari problemi, ma quando si passa sul sentiero, ecco apparire la "me" un po' inesperta e impacciata;  mi arrabatto finché la bici non mi scarica direttamente nel fango; e di tutti i posti in cui sarei potuta finire, proprio con le mani in quella specie di letamaio, che sfortuna!

 

 

In quello che mi è sembrato un lasso di tempo brevissimo, arrivo a Corvara e tiro dritto saltando il primo ristoro. Sempre con gli occhi sull'altimetria proseguo in direzione Pralongià, aspettandomi una salita dapprima ripida e poi più morbida, fino in cima. Improvvisamente il percorso della sessantadue chilometri si divide da quello della ottantaquattro chilometri e all'improvviso mi ritrovo da sola nel tracciato. Chi aveva già fatto la gara lo scorso anno mi aveva garantito che on sarei stata sola mai e invece eccomi qua, riesco appena a vedere due persone davanti a me in lontananza, ma alla prima discesa li perdo completamente di vista. Anche se la strada è larga, il fondo non è mai particolarmente pulito e mi mette in difficoltà.

 

Rimango sola e un po' crisi per tutta la discesa e una parte di risalita, poi mi sento meglio e recupero fino a raggiungere altri concorrenti. Di nuovo gli occhi sull'altimetria, ho percorso poco più di venti chilometri e sono felice perchè rifletto con ottimismo sul fatto che il chilometraggio rimasto è quello di una qualunque granfondo. Poco dopo, i due percorsi si ricongiungono e la strada è nuovamente invasa da un gran numero di ciclisti.


La discesa fino ad Arabba, pur se con qualche difficoltà, procede scorrevole, sono felice di aver superato il secondo passo, ma sono impacciata sul tecnico; inoltre gli ometti non ci vanno tanto per il sottile nei sorpassi e ho paura di essere urtata. Ad un certo punto alzo gli occhi e vedo, davanti a me, un numero davvero enorme di ciclisti in coda in cima al sentiero. Sono tantissimi, si è creato un imbottigliamento in un punto particolarmente stretto e difficile. Raggiungo il gruppo e attendo anche io il mio turno, guardandomi attorno. Posso classificare tre tipi di persone: quelli che si mettono in coda e aspettano di passare, come me, quelli che sono arrabbiati con tutto e tutti perchè han fretta di proseguire la gara, e i toscani, che tirano su un cabaret fatto di gente che fa selfie di gruppo, che urla frasi ironiche del tipo "BUTTATI, E' MORBIDO" o "QUALCUNO HA UNA SIGARETTA?" e altre battute che tengono alto l'umore.

 

 

La pausa forzata è stata molto utile, ho potuto finire la barretta che da mezz'ora mordicchiavo di tanto in tanto, e ho avuto modo di riposarmi un po'.

 

Quando arrivo ad Arabba, quasi mi commuovo, sono a metà gara e non sono stravolta. Mi aspettano ancora due salite dure e impegnative, per cui spendo qualche minuto per mangiare e bere al fornitissimo ristoro: una tavolata lunghissima di borracce con acqua e sali, barrette, ma anche panini e paste. Una delizia! Un vero peccato non potersi fermare a lungo a banchettare, per me una barretta, una borraccia e riparto.


I percorsi si dividono nuovamente. Per me la salita al Passo Pordoi prevede una prima parte su strada asfaltata nella quale ho difficoltà a riprendere il ritmo. Continuo a pedalare cercando di pensare a qualcosa di positivo che possa farmi uscire da quel senso di fatica e pesantezza, e supero un gruppo di persone che, con la bici da strada, stanno percorrendo la mia stessa salita. Ascolto i loro discorsi nel tentativo di distrarmi e sento che parlano della gara, di quanto sia dura, e uno di loro dice "sai, noi in discesa ci riposiamo, ma dove scendono loro si stancano più che in salita". Mi scappa un sorriso, per una come me, sono davvero parole sante.

 

Il percorso esce dall'asfalto e diventa strada sterrata in salita, tutti procedono in religioso silenzio, ognuno intento a gestire intimamente le proprie energie ed i propri pensieri. La giornata è calda e c'è un bellissimo sole, di tanto in tanto mi ricordo di alzare la testa e dirigere lo sguardo al Sella, e alle bellezze che mi circondano: ampi prati verdi, fiori, una natura rigogliosa, colori accesi, un cielo azzurro e pulito. E, intorno, le montagne, con quelle forme particolari che solo le Ddolomiti hanno, e che le son valse il titolo di patrimonio dell'umanità.

 

 

Quando scollino al Pordoi, chiedo a chi passa di darmi conferma di averlo realmente oltrepassato, non voglio avere brutte sorprese. Arrivo al ristoro con una sensazione di sollievo, perchè manca solo più una salita. Avrei dovuto però considerare con maggiore attenzione che l'ultima salita è anche la più dura della gara. Che carini gli organizzatori, ce l'han lasciata per ultima, un bel finale coi fuochi d'artificio.

 

Scendo fino al bivio, che per l'ultima volta divide i due percorsi, e mi dirigo verso il Passo Sella. Le mie gambette risentono un po' della salita ripida e pietrosa; stare in sella, per me, vuol dire un grande sforzo, con già cinque ore nelle gambe, nelle braccia e nella testa. Inizialmente ci provo, cambio più volte traiettoria seguendo chi mi precede, elaborando la teoria del "la traiettoria del vicino è sempre più pulita", ma per me è una salita durissima. Cerco di pedalare più possibile, poi mi arrendo, e spingo per diversi minuti a piedi. Poi la pendenza mi pare diventare praticabile e riprendo a pedalare.

 

Quando arrivo al Passo Sella ignoro completamente che c'è ancora una parte di sali-scendi per arrivare al rifugio Comici, prima di imboccare la discesa vera e propria. I primi minuti mi manca la testa, sono stanca e scorrono pensieri negativi, medito di non fare mai più gare tanto lunghe, e sono preoccupata dei quasi dieci chilometri di maledetta discesa che ancora mi aspettano.

 

In questi momenti, il sostegno delle persone che numerose si trovano lungo il percorso per seguire la gara, si rileva fondamentale, in grado di trasformare lo sconforto in forza, di alleggerire la mente, di farmi scoprire che ci sono ancora energie nei polmoni, nelle gambe e nelle braccia.

 

La discesa finale è lunga ma strepitosa, fatta dell'emozione e dell'incredulità di cosa sto portando a termine, di quel senso di soddisfazione che solo il cuore, la fatica, e la dedizione sono in grado di regalare. E poi la felicità di imboccare il sentiero lungo quella staccionata di legno che sai giungerà fino all'arrivo e delle persone che lungo la stessa staccionata applaudono e urlano il tuo nome. La felicità di sapere che tutta quella fatica  è finita e che ce l'hai fatta.

 

La felicità di sentirsi degli eroi, anche se solo per un giorno.

 

 

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