CON IL “COSO” GIU’ DALL’ANNAPURNA

Il Circuito dell' Annapurna di Mauro Vanoli, fatto con un approccio piuttosto particolare, ovvero utilizzando un qualcosa che mescola le caratteristiche di una Mtb biammortizzata, uno zaino da trekking, una Graziella ed un monopattino: il nome di questa “cosa” è Bergmoench.

«Nello scatolone: due paia di scarponi, il Bergmoench, un treppiede serio per le riprese e le fotografie, due borracce, un paio di occhiali, qualche Buff colorato e poco altro,due cose insomma. Non manca nulla. Il resto lo troverò laggiù, nello sgabuzzino della solita pensioncina a Kathmandu, la stessa delle scorse avventure. Una borsa con il vestiaro leggero lasciata in ottobre. Il resto dell'equipaggiamento tecnico lo recupererò laggiù, dal solito Yoghi, la guida . Uno zainetto come bagaglio a mano per il Pc e tanta emozione. Domattina si parte».

Così inizia l'avventura di Mauro "Selvatiko" Vanoli, un globetrotter nostrano, abituato ad imprese fuori dal comune. Così mentre i mostri sacri del downhill sfrecciavano tra nuvole di polvere e le colorate bandiere dell'Urge Nepal, lui, poco distante, completava uno dei classici trekking himalayano, il Circuito dell' Annapurna, ma con un approccio piuttosto particolare, ovvero utilizzando un qualcosa che mescola le caratteristiche di una Mtb biammortizzata, uno zaino da trekking, una Graziella ed un monopattino: il nome di questa "cosa" è Bergmoench.

ATTORNO AL "GIGANTE"
Un'avventura durata un intero mese, venti giorni per completare il sentiero ad anello che corre tutt'attorno al gigante di pietra, al più massiccio, e crudele, monte del Nepal. Quello che è stato il primo ottomila ad essere scalato, il 3 giugno 1950 dagli europei Maurice Herzog e Louis Lachenal), ma anche quello che detiene il triste primato del maggior rapporto tra incidenti mortali ed ascensioni alla vetta. Un sentiero non semplice, tutto a quote impegnative con passaggi oltre i 5.500 metri, con sistemazioni spartane nelle guest-house disseminate lungo il percorso e lo stretto indispensabile per affrontare in solitaria questa avventura, il tutto stipato dentro 26 litri di capienza della sacca del Bergmoench, e la sacca ausiliaria, auto-costruita i primi giorni a Kathmandu, proprio mentre la città era oscurata da un lungo black-out, per un peso totale di oltre 25 chilogrammi.

Lungo il percorso, come in ogni viaggio, tanti incontri, come quello con un piccolo cane che l'ha seguito per giorni dopo un primo, fatale, biscotto, oppure con la simpatica gestrice di un ristoro in quota, ma anche con carovane di muli (stranamente in questa regione del nepal, a differenza delle vallate ai piedi dell Everest, i contadini non utilizzano gli Yak, animale Nepalese per eccellenza) con oltre 65 chili di carico ed un giovane nepalese che trasportava sulla schiena un pesantissimo tubo in metallo, muovendosi agile tra le rocce in infradito e jeans.

Certo uno dei rischi più grossi che l'avventuriero ha incontrato sono stati i bambini: sfrecciava in discesa, sfruttando gli ammortizzatori del suo strano veicolo, al grido di «cycle, cycle» per evitare di investire i piccoli abitanti dei paesini che attraversava, tutti attirati dai caldi colori del "coso", ma sopratutto dalla presenza di uno straniero. Una nuvola di piccoli aspiranti ciclisti che voleva a tutti i costi provare, o solo toccare, quell'oggetto mai visto. Quando invece era ripiegato, e caricato sulle spalle a mo di zaino, i piccoli allungavano la mano per provar a far girar il ruotino che spuntava da sotto le sacche. I bambini saranno anche curiosi, ma la polizia, composta in prevalenza da ragazzi giovanissimi, lo è stata molto di più. Ogni villaggio è un posto di blocco (il Nepal è una zona fortemente militarizzata) e conseguentemente una valanga di domande: « Come funziona? Dov'è la sella? Dove vai? Quanto costa ?», che si sono però rivelate essere le stesse fatte dai pochi turisti con cui ha condiviso una zuppa la sera dentro le guest-house.

UN PANORAMA INARRESTABILE

La prima metà del tracciato era completamente immersa nel fitto della foresta, ma una volta superati i 3.500 metri di quota, la vegetazione finisce e gli alberi lasciano il posto alle maestose vette innevate delle più alte montagne del mondo: «Uno spettacolo che lascia senza fiato» come ha riassunto Vanoli. L'incredibile, in un'avventura del genere, è l'improvviso cambiamento del clima. Basta girare dietro ad una cresta di una montagna, entrare all'interno di un cono d'ombra e subito, a quote vicino a 4.000 metri, il sentiero si riempie di neve e le piccole ruote artigliate del Bergmoench iniziano ad avanzare scricchiolando, fortuna che i freni a disco non si spaventano davanti a nulla.

A due terzi del cammino è d'obbligo una sosta a Manang (3.600 metri) da dedicare all'acclimatazione perchè mai si dovrebbero superare più di 700 metri di dislivello al giorno. Dopo Manang c'è pure un bel pezzo da guidare, un sentiero leggero e nervoso con curvette da raccordare, terreno pulito e piatto, che ad avere una Mtb con buona escursione rappresenterebbe un divertentissimo single track.

L'ASSALTO AL PASSO

L'ultimo step del trekking costringe l'avventuriero ad una levataccia, alle cinque del mattino è già in marcia per arrivare nel punto più alto, il passo Thorong-La a più di 5.416 metri sul livello del mare. Cinque ore più tardi la "Cima Coppi" di questo strambo viaggio è raggiunta. Qualche foto di rito ed uno sguardo al panorama tutto intorno, una fotografia mentale che difficilmente mai svanirà. Mauro Vanoli, monta il Bergmoench, controlla un'ultima volta se le sospensioni ed i freni lavorano bene e sul suo "coso" si lancia in discesa, sfrecciando tra le più alte montagne del mondo, conscio di aver terminato un'impresa magari non epica, ma sicuramente incantevole e singolare.

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