Il tracciato scende dritto e deciso verso la valle che si mangia i corridori in un labirinto di pini e betulle come se fosse il Mondo segreto di Narnia in una giornata di sole e senza neve. L’armadio magico si apre sulle colline dell’entroterra marchigiano dove le nuvole proiettano ombre drammatiche, lasciando che la luce incendi il paesaggio qua e là, come un dipinto che respira.
Per i sentieri deserti si sente l’odore del sottobosco umido, di resina, il rassicurante profumo degli aghi dei pini come un tappeto che insonorizza tutto, anche la realtà. D’altronde il ciclismo è un passo verso un’altra dimensione, un salto nel nulla, in un momento sei di qua e nell’altro subito di là, prima il caos sul rock garden e poi il silenzio improvviso del sentiero che discende come un inferno in un’atmosfera da paradiso.
©Miriam Terruzzi
La pioggia minaccia il crossodromo per tutto il weekend ma le nuvole nere ruotano attorno a questo occhio del ciclone senza toccarlo nemmeno per un istante. Il cielo si apre a tratti, in fasci di luce ultraterrena sui paesi accoccolati sulle colline mentre la corsa alterna momenti di delirio ad altri di completa estraniazione dalla realtà.
La pista in certi punti assomiglia a un cratere lunare, questo dipende dal fatto che sia stata concepita per le moto, un playground insolito e per questo ancora più affascinante. Il vecchio osservatorio, con la sua mezza cupola bianca abbandonata fa il resto, rende questo luogo ancora più trascendentale.
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Alla fine il giorno di gara è come un raduno celtico, i ragazzini corrono su e giù con una bottiglietta di benzina per fomentare il rombo della motosega come se fosse una pozione magica. Non è facile fare selezione qui, su un circuito veloce con tutti a tutta e certi passaggi stretti tra gli alberi, ma non è neanche semplice stare a ruota, attaccati giro dopo giro - sette per la precisione, il numero della mitologia e delle fiabe.
La gente si cala giù per la collina, nel punto più buio del bosco dove ci si può sentire come Hansel e Gretel prima di incontrare la casina di focaccia dalle finestre di zucchero. Da qui passano e spariscono come creature delle leggende, così veloci nel loro inseguimento che è impossibile immaginare chi sia il più forte oggi.
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Se la corsa si allontana, allora ecco che tutto ripiomba nel silenzio, si può persino sentire il vento tra le chiome delle betulle, metri e metri più in su, trecce che piombano giù da una torre isolata per liberarsi per sempre dalla prigionia. Si corre per evadere, prima del resto, cercare la pace seminando i fantasmi, essere più veloci, non perdere le ruote, non rimanere indietro in solitaria ma volare da soli al comando.
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Braidot e Avondetto cercano il duello testa a testa fino alla fine, due cavalieri che corrono per salvare la loro Biancaneve in tempo e risvegliarla dalla morte, una corsa cruda contro il tempo fra tronchi, ponti di legno e sassi che elevano la sfida, mai uguale a sé stessa in nessun punto. Quando riemergono da questo oscuro tunnel, si capisce che siamo tutti qui per sentirci raccontare storie, vere e fantastiche allo stesso tempo, lotte all’ultimo respiro, prove di resistenza, azioni che alzano il livello di adrenalina. Per quanto sia stato duro e veloce e anche un po’ infame, abbiamo avuto quel che volevamo.
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Il sole adesso illumina il circuito vuoto, un finale come una favola dei Fratelli Grimm senza censure, dove il magico e il cruento si fondono sconsiderevolmente, nella pozione che i druidi del ciclismo chiamano con un misterioso codice a tre lettere: X.C.O.
CHI È
Innamoratasi del ciclismo senza ragione ma follemente, Miriam Terruzzi scrive di questo sport dal 2012, da quando ha aperto il suo blog emialzosuipedali.com dove racconta i suoi viaggi per raggiungere le gare, tutto in puro spirito beat. Ha pubblicato quattro romanzi, di cui uno dedicato alla Parigi-Roubaix, la corsa che ha stregato la sua vita.