EMILIANO BALLARDINI RACCONTA LA SUA VITTORIA ALLA DESERT DASH
Il corridore trentino del team Todesco ha corso nell' Africa del sud ovest, tra deserto e saliscendi. Si è svolta prevalentemente di notte, visto che durante il giorno la calura è opprimente. Si definisce un dinosauro della mountain bike, Zaglio invece l' ha soprannominato "Il carpentiere".
Sono passati pochi giorni da quando il trentino del team Todesco Emiliano Ballardini, in Namibia è riuscito a vincere tra ii single, la settima edizione della Desert Dash dopo essere partito dalla capitale Windhoek ed arrivando a Swakopmund sulla costa atlantica, dopo 13 ore e 52 minuti, pedalando per 340 chilometri. Oggi racconta la sua avventura.
E il tuo livello ? Quanto poi al mio livello agonistico, non sono certo un campione. Sono una seconda linea; uno di quelli che arriva sempre attorno al quinto posto di categoria e che vince solo se mancano quelli forti davvero, tipo Zaglio, Casagrande, Zappa... poche vittorie, ma grande gioia, quando capitano!
La tua partecipazione alla Desert Nash Namibia ha permesso a tutti gli appassionati di conoscere questa manifestazione, una delle tante che ultimamente si possono trovare in giro per il mondo (Brasile, Costa Rica, Messico, Sudafrica, Malesia, Canada, Marocco, Tunisia, Capo Verde). Puoi spiegarci come hai saputo dell' esistenza della gara ? Nonostante tutti i soldi spesi da papà e mamma per farmi studiare, prima di due mesi fa non sapevo nemmeno dove fosse la Namibia! Poi un mtbiker tedesco incaricato dalla Asem.tv per conto della First National Bank (il main sponsor della gara) e dagli organizzatori mi ha contattato via Facebook (buffo, eh?) e nonostante avessi già annunciato a tutti il mio ritiro dall'agonismo ho detto subito di sì. Più che altro perché si andava all'estero.
Puoi spiegarci che tipo di gara era ? All'inizio non avevo proprio capito che si trattava della gara di mtb più lunga al mondo. E che avrei dovuto farla da solo. La gara consiste in un percorso su piste molto polverose, prevalentemente di notte per evitare la calura. Si corre da soli ("solo riders") oppure in team composti da due o da quattro ciclisti. Tutti i ciclisti dei team con più persone hanno l'obbligo di fare la prima e l'ultima tappa assieme. Nelle altre, invece, si alternano e corre uno solo alla volta. Ogni team ha un veicolo che gli porta le cose da un fine-tappa all'altro. Durante la tappa non si può ricevere assistenza dagli accompagnatori, ma solo dagli altri concorrenti. Ogni 30 km delle tappe più lunghe c'è un ristoro con acqua, barrette e olio (ho oliato la catena 10 volte!). Alla fine poi di ognuna delle tappe c'è un check point e solo dopo la sottoscrizione del foglio di gara si può accedere al proprio veicolo ed essere aiutati. Poiché si corre da soli, di notte è necessario avere con sé un impianto luci notevole e non spaventarsi per i mille occhietti gialli che ti guardano passare, si tratta per lo più solo di lepri e di sciacalli...
Puoi raccontarci come sono state le tue 13 ore e 52 minuti in sella alla mountain bike ? Beh, già la classifica rende un po' l'idea. I tempi sono espressi in ore e minuti. I secondi non contano, che è come dire che i distacchi si calcolano con le clessidre... Nei miei allenamenti avevo pensato molto alla tattica di gara. Pensavo di correre sulle ruote dei team con più corridori per sfruttare il loro lavoro e di cercare di resistere il più a lungo possibile, conscio però che nelle zone di fine tappa, dovendomi fermare per cambiare le borracce e raccogliere i fari e il resto, avrei progressivamente perso le ruote dei team più forti perché le staffette si danno invece il cambio "al volo", senza pause, non appena uno dei componenti arriva al check point. Ma la gara invece si è sviluppata in modo totalmente diverso. E questo forse è proprio il bello delle gare!
Nella quinta tappa ho faticato molto perché gli organizzatori per rallentare la gara ci hanno obbligato a pedalare per 30 km lungo un acquedotto fuori terra, senza sentiero, sul terreno libero, evitando pietre, buche, cespugli e macchie d'erba. La velocità lì è scesa a 15-20 km/h e non andavo più avanti. Anche il tempo è peggiorato. Ho perso lucidità e nonostante un'ottima assistenza da parte di Till (il mio autista - compagno di team) al check point, nella sesta ed ultima tappa, sempre seguendo gli ultimi 20 km di acquedotto, mi sono perso quando il tubo si è interrato per qualche centinaio di metri e non lo trovavo più. Sono stati momenti molto lunghi ed anche un po' angoscianti, anche se in fondo rischiavo solo di non vincere, non certo di farmi male.
Cosa si prova a vincere una gara cosi dura, lontano da casa ? Non vorrei però che ci fraintendessimo. Io non sono partito per vincere, perché a quella gara partecipano di solito specialisti e professionisti e quindi non mi davo nessuna chance. Basta guardare la classifica: quattro dei primi cinque dell'anno scorso sono arrivati nei primi cinque posti anche quest'anno. La notte prima poi non ho dormito molto, non perché mi sentissi uno dei favoriti, ma perché mi sentivo un po' come prima del "giudizio universale". Avevo la convinzione (ed oggi la certezza) che avrei dovuto impegnarmi molto anche solo per finirla. E questo era anche l'obbiettivo più realistico: come testimonia la montagna di ricambi che avevo al seguito nello zainetto (perfino un forcellino del cambio!).
Da che nazioni venivano gli altri corridori ? Soprattutto sudafricani. Un po' di tedeschi e qualche locale, anche. La gara ha molto seguito in Namibia ed in Sudafrica e i posti (che sono limitati) quest'anno sono stati prenotati in soli sedici minuti dall'apertura delle iscrizioni. Il livello agonistico degli avversari che ho incontrato non è scarso, solo che corrono in modo tatticamente scriteriato!
Abbiamo letto che la Namibia, per via delle sue coste tra le più aride e inospitali al mondo, fu a lungo ignorata dagli esploratori europei. Sappiamo che siete arrivati sulla costa a Swakopmund. Li in Namibia come erano le condizioni climatiche ? La gara è al 95% su sterrato e non ha grosse difficoltà di navigazione, almeno fino agli ultimi 70 chilometri quando il percorso devia dalle piste evidenti e segue solo una "pipeline" (l'acquedotto fuori terra di cui ho detto prima) sul terreno libero e senza traccia. Le difficoltà sono date soprattutto dal fatto che si parte alle 15:00 con 35 gradi all'ombra, un'umidità del 20%, una gran polvere (tutti con la gola secca!) e, salendo prima da quota 1.700m fino a 2.200m e poi scendendo, si arriva al mare a notte fonda (io alle 4 e 30) con i fari ed a temperature, nel nostro sfortunato caso, di circa 12 gradi, vento contrario e piccole gocce di pioggia portate dalla nebbia. Contro la polvere ho usato una mascherina da chirurgo e contro la calura sia uno zainetto idrico da 2 litri, sia due borracce contemporaneamente.
Poi la Namibia venne colonizzata dalla Germania che però ne perse il controllo alla fine della prima guerra mondiale e il paese amministrato dai vicini Sudafricani. Voi che siete partiti dalla capitale Windhoek avete trovato traccia dell' antica colonizzazione tedesca ? Sì, io parlo quasi solo il tedesco e la lingua è ancora utilizzata, anche se non è quella ufficiale. Ci sono anche scuole in tedesco. Col mio compagno di team, Till Drobisch, una giovane promessa del ciclismo locale, parlavo in tedesco. Ci sono poi diversi edifici, case e chiese, che sembrano trasportati di peso dalla Baviera: tipo quelle case che hanno i travi a vista sulla facciata che si incrociano tra di loro (Fachwerkhaeuser, si chiamano). Nei menu dei ristoranti poi si trovano sempre delle specialità tedesche, come lo stinco con le patate (ma per fortuna anche cose locali, come la zebra, buonissima!!). Però occhio che si guida a sinistra! A mio avviso, tuttavia, soprattutto da una cosa si capisce che lì ci sono stati solo tedeschi ed inglesi: nei bagni non c'è il bidè!
Pensi di ripetere altre esperienze simili nel 2012 ? Io pensavo proprio di smettere con le gare. Adesso non so più cosa fare. La verità è che hai toccato un tasto che non mi fa dormire la notte... Faccio un lavoro che mi impegna molto di tempo e di testa, e qualche volta anche fisicamente. Avevo deciso di correre due anni a tutta col Team Todesco e poi di ritirarmi. Adesso davvero non so più cosa fare. Mi piacerebbe provare una gara a tappe come la Transalp. Vedremo. FNB, forse scherzosamente, ci ha fatto sapere che se volessimo, e se ci riprendiamo da questa prima volta, visti i risultati di gara potremmo già considerarci invitati anche per l'anno prossimo. Si vedrà. Sicuramente però se torno in Namibia, come detto, è per fermarmi lì più a lungo.
Intanto però permettimi di ringraziare:
Stefan Hiene, per l'invito e l'amicizia spontanea e diretta che è nata tra noi;
Till Drobisch, per l'eccezionale assistenza in gara, materiale e psicologica;
Fabio e Valerio, per la disponibilità, l'affetto e l'aiuto tecnico;
Gabriele e Manuel, per l'impianto luci e il packaging del bike;
Sandro e Barbara, per l'aiuto e l'assistenza bagagli all'ultimo momento;
Marzio, sempre e comunque;
Reuben, per la logistica e l'aiuto in Namibia;
I miei genitori ed Enrico;
Il mio specy S-works "Chubbabug" che ha tenuto duro con me e che so che mi capisce, anche se non può rispondermi, quando gli parlo.